mercoledì 26 novembre 2014

Lo Sblocca Trivelle tra proteste e censure

La parola d’ordine è una sola: avanti tutta con le trivelle. E a indicare la road map è stato il presidente del Consiglio Renzi: “Raddoppiare la percentuale di petrolio e del gas in Italia”. L’Italia già oggi è il quarto produttore europeo e il terzo per quanto riguarda le riserve di oro nero. Il bacino più importante si concentra in Basilicata, la Val d’Agri da sola produce l’82 per cento del petrolio nazionale e risulta essere il più grande giacimento d’Europa.

Ma quanti sono attualmente i pozzi attivi nel nostro Paese? Secondo il ministero dello Sviluppo economico sono oltre mille – tra terraferma e mare – e forniscono il 10 per cento del fabbisogno di gas e il 7 per cento di petrolio. Mentre, i permessi per la ricerca di idrocarburi, ossia i titoli che consentono le indagini geofisiche e perforazioni, in attesa di risposta sono 112, distribuiti da nord al sud.

L’accelerazione in tema di ricerca di petrolio e gas, tuttavia, è arrivata nei giorni scorsi con l’approvazione definitiva al Senato del decreto Sblocca Italia, subito ribattezzato Sblocca Trivelle. Così a finire sul banco degli imputati è stato proprio l’ex sindaco di Firenze, accusato dagli ambientalisti di aver offerto un assist incredibile alle multinazionali petrolifere, che non dovranno avere più l’ok delle Regioni (la cosiddetta valutazione di impatto ambientale) per bucare mari e colline.

L’obiettivo dell’esecutivo, in effetti, non solo è eliminare l’opposizione degli enti locali, ma velocizzare l’iter per le autorizzazioni: d’ora in poi ci saranno i titoli minerari unici (sia per la ricerca, sia per l’estrazione ma ritenuti da più parti contrari al diritto comunitario), verranno rilasciati in appena 180 giorni e le concessioni potranno durare 30 anni, prorogabili più volte per un periodo di dieci anni. E a decidere dove e quando trivellare sarà - con proprio decreto - il ministro dello Sviluppo economico, e non importa se ciò provocherà delle variazione negli "strumenti urbanistici".

Ad essere contestato è soprattutto l’articolo 38 del decreto (Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali): “Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”.

Con questa norma i luoghi di ricerca e d'estrazione vengono di fatto militarizzati. Resi inaccessibili a comitati e popolazioni che si oppongono alle trivelle. Tutto viene sacrificato in nome dei supremi interessi nazionali e della realpolitik del Tony Blair italiano. D’ora in poi, dunque, la palla passa allo stato centrale, che ha deciso di fare del Bel Paese una vera e propria gruviera, dimenticando i passi avanti fatti in tema di tecnologie rinnovabili.

Ora il timore è che le coste siciliane e quelle dell’Adriatico – come molte realtà dell’Appennino, in primis la Basilicata – diventino il Texas d’Italia, con conseguenze negative su turismo e attività economiche.

“Poco importa se diverse Regioni e moltissimi Comuni si oppongono a questa scellerata politica fossile. Poco importano le proteste di decine di migliaia di persone che hanno detto chiaramente che il mare è dei cittadini e non dei petrolieri, che vogliono sfruttarlo solo per ricavarne profitti”, attacca Greenpeace dal blog de ilfattoquotidiano.it.

Ma il governo va avanti come un treno e non si ferma davanti a nessuno ostacolo, nemmeno quando a mettersi di traverso sono gli enti locali o le popolazioni organizzati in “comitatini” (il copyright è di Renzi), che temono per l’inquinamento delle proprie terre con conseguente rischio per la salute.

E la risposta dei comitati (anche se censurata dai media nazionali) è arrivata nei giorni scorsi da Potenza, dove circa cinquemila No triv hanno assediato pacificamente la sede della Regione Basilicata per protestare contro il raddoppio delle estrazioni petrolifere. La Lucania – dove si trivella da più di vent’anni – è interessata da 18 richieste di permessi di ricerca, 11 permessi e 20 concessioni di coltivazione di idrocarburi per quasi i 3/4 del territorio.

E non bastano le confutazioni economiche (la Basilicata è tra le regioni più povere d’Italia e con le royalties più basse al mondo) a fermare il governo Renzi, che invece si appella alla Strategia energetica nazionale, secondo cui la corsa all’oro nero porterà un investimento di 15 miliardi di euro di investimento e di 25 mila nuovi posti di lavoro.

Ma per gli ambientalisti sono solo promesse per tenere buoni i territori. “Altro che innovazione e premier rottamatore – controbattono – la storia è sempre la stessa: in pochi si arricchiscono sulle spalle dei cittadini e dell’ambiente”. Come dire: per gli interessi dei petrolieri si rottama anche il territorio.

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